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La questione della nuova estetica neocatecumenale

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Linus
view post Posted on 21/10/2013, 14:23




La questione della nuova estetica neocatecumenale

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"Solo una nuova estetica salverà la Chiesa del terzo millennio". La categorica affermazione fu pronunciata, nel corso di una convivenza di Vescovi, da Kiko Arguello, il pittore spagnolo fondatore del Cammino neocatecumenale. L'asserzione viene collegata alla frase pronunciata dal principe Miškin nel romanzo 'L'idiota' di Dostoevskij: "La bellezza salverà il mondo". È opportuno, allora, tentare di capire il significato assegnato da Kiko Arguello alla nozione di "estetica", la quale è normalmente intesa dai più, in modo restrittivo, come disciplina che concerne la bellezza naturale e dell'arte, i prodotti artistici e il giudizio critico su di essi.
Essendo kiko un pittore che pure si diletta di musica e di oggettistica, la lettura in senso restrittivo appare scusabile. Le produzioni artistiche, però, sebbene importanti nella filosofia del Cammino per i motivi che saranno successivamente esposti, non esauriscono la "nuova estetica".
La questione, infatti, nel contesto nel quale opera Kiko, concerne l'estetica sacra e quindi riguarda un ambito ben più esteso della mera arte: gli schemi rituali intorno ai quali si sviluppa la liturgia, i gesti e i movimenti con cui si celebrano gli atti di culto, gli spazi celebrativi e comprendono – per l'appunto precedente – le suppellettili, l'iconografia, la musica, i canti. La bellezza estetica della liturgia, nella Chiesa, tutto ciò coinvolge: dallo spazio sacro alle rubriche, ai gesti, alle posture, ai movimenti, agli abiti, agli arredi, ai canti. Lo spazio e l'azione liturgica devono "manifestare armonia e bellezza... Il gesto liturgico è chiamato ad esprimere bellezza in quanto è gesto di Cristo stesso" .
La “nueva estetica” è distante millenni-luce da cotanto gesto. Non mi riferisco alle “forme”, per le quali la bellezza è percepita con criteri emotivi e soggettivi. Il problema sta nei significati, nella sostanza. La nuova estetica di Kiko Arguello, per ammissione degli stessi neocatecumenali, si fonda su altri gesti e su differenti spazi: essa è basata sulle teorie dell’architetto Rudolf Schwarz, in primo luogo. È bastevole, per ogni altro ragionamento, un solo asserto di Schwarz:

«È bello quando lo spazio sacro si fonda totalmente sulla comunità e sul suo operare, quando esso si sprigiona dalla liturgia e con essa di nuovo affonda, e si rinuncia a ogni messa in scena architettonica. All’inizio qui non c’è nient’altro che lo spazio cosmico e, dopo, non rimane altro che lo spazio cosmico: il Signore è passato»

Ecco, allora, la ragione per la quale tutto della Chiesa tradizionale, dallo spazio sacro alle rubriche alle icone ai canti etc. etc., deve essere annichilito nel vuoto cosmico delle salette neocatecumenali, le quali possono essere riempite soltanto dalla Comunità e dal suo agire. In questa logica dell'operare comunitario, anche vanno collocate le creazioni più propriamente artistiche di Kiko Arguello (icone, arredi, musiche, canti), le sole ad essere ammesse perché, per mezzo del fondatore, esse identificano la Comunità e le sue prassi .
Tutto, essendo ricondotto alla Comunità e al suo agire, deve essere "semanticamente riconoscibile" – è un'altra affermazione di Kiko Arguello, questa: il simbolo teologico deve cedere il passo al "segno" comunitario. Nella nuova estetica, come nella Sala dei Cavalieri di Rudolf Schwarz, il simbolo non è più "porta regale", "soglia di confine tra i due mondi”, per dirla con Pavel Florenskij. Lo spirito umano, nel suo viaggio personale verso l'epifania, non deve più cercare di risalire le guglie di una cattedrale, provare a elevarsi sulle note di una musica gregoriana, non deve tentare di attraversare la superficie di una 'vera icona' bizantina: esso deve, semplicemente, essere informato e formato. Una simile operazione può avvenire soltanto sul piano della conoscenza sensibile, nei tempi e nei luoghi dove "lo spazio sacro si fonda totalmente sulla comunità e sul suo agire". Di conseguenza, l'azione stessa dello Spirito Santo è considerata ristretta negli spazi e nei segni del movimento.
In tale ermeneutica (di discontinuità con la Tradizione), codificata e decodificata secondo il codice monòtono del fondatore, il simbolo cristiano perde la sua profondità polisemica e diviene inabile a evocare, mediante "ciò che sta in basso", quello "che sta in alto". Viene troncata la corrispondenza tra il manifestato e il non manifestato, tra i due ordini differenti, l’umano e il trascendente. La firma sulle icone, il volto di Cristo dipinto in varie opere con lineamenti simili a quelli di Kiko, conducono alla immediata riconoscibilità dell'unico artefice ammesso. Il “marchio di fabbrica” chiude la "porta regale", conduce in primo luogo all'autore-fondatore del Cammino e ai suoi seguaci: non rinvia all'Altro e all'Altrove. La semantica della nuova estetica si fonda prioritariamente "sulla comunità e sul suo agire". È antropologica, quando non anatomica («la bocca», «lo stomaco», «l’utero», come nelle definizioni del «tempio» secondo Kiko Arguello).
Il simbolo cristiano è ridotto a segno sì, ma a un segno terra-terra appiattito sul "pensiero di questo mondo". Accade come nella catechesi neocatecumenale della guarigione del cieco nato (Gv 9), dove il balsamo formato da Cristo con la sua saliva e con l'argilla/pêlos (del vasaio) è ridotto a mota, terra/borboros che sporca, semanticamente riconosciuto come segno del peccato. L'impasto spalmato sugli occhi del cieco nato è privato della saliva con la sua profondità di significati: la Parola, l'alito divino, la Ruah. Il gesto dello spalmare (che nel verbo originale epichriô in greco rinvia all'unzione e quindi a Cristo medesimo) non è più tale, non vi si riconosce la ri-creazione dell'uomo.
La locuzione "Solo una nuova estetica salverà la Chiesa del terzo millennio", in sintesi, può così essere letta: “Soltanto la liturgia, gli spazi e i segni del fondatore, propri della comunità e del suo agire, salveranno la Chiesa del terzo millennio”.
Non c'è bellezza, in tutto ciò che non conduce all’Altro e all’Altrove ma soltanto al Cammino e ai suoi luoghi. Non può esserci bellezza in un’estetica che, dentro le forme, racchiude costantemente il pensiero del fondatore, la comunità e il loro operare. È come nella celebrazione eucaristica neocatecumenale dove, ancora una volta in assonanza con R. Schwarz, il Sacramento è vissuto come finalizzato al banchetto conviviale e nella durata del banchetto comunitario circoscritto: "All’inizio qui non c’è nient’altro che lo spazio cosmico e, dopo, non rimane altro che lo spazio cosmico: il Signore è passato". Nel vecchio direttorio catechetico neocatecumenale (che giunse per caso nelle mani del teologo p. Enrico Zoffoli, il quale lo criticò aspramente per le evidenti eresie che conteneva) c'è scritto:

"Non c'è eucarestia senza assemblea. E' un'assemblea intera quella che celebra la festa e l'eucarestia; perché l'eucarestia è l'esultazione dell'assemblea umana in comunione; perché il luogo preciso in cui si manifesta che Dio ha agito è in questa Chiesa creata, in questa comunione. E' da questa assemblea che sgorga l'eucarestia" (Kiko Arguello, Or. per la fase di Conv., p. 317).

Esiste una corrispondenza biunivoca tra l'estetica neocatecumenale e la sua teorizzazione. La questione, allora, più che estetica, appare teologica.

lino_lista


1 Cfr. : http://www.vatican.va/news_services/liturg...ellezza_it.html
2 Cfr: http://www.cammino.info/2012/04/approfondi...nuova-estetica/
3 Cfr: Relativamente alla celebrazione eucaristica, significativa è l’icona analizzata nello studio disponibile al link:
http://www.katholikos.eu/index.php?option=...d=11&Itemid=135


Fonte originale:
Lo studio in oggetto è revisione di una prima analisi pubblicata nel sito "Osservatorio sul Cammino Neocatecumenale".
 
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